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La separazione tra stato e religione è una condizione indispensabile per il rispetto dei diritti delle donne

martedì 15 novembre 2016, di siawi3

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Source: MicroMega 8/2016

La separazione tra stato e religione è una condizione indispensabile per il rispetto dei diritti delle donne

22 settembre 2016

Marieme Helie Lucas

(traduzione di Anna Tagliavini)

Islam e democrazia

Se esiste un dibattito inutile e viziato in partenza dal punto di vista epistemologico, è proprio quello che cerca di stabilire se l’islam sia compatibile con la democrazia. Direste che il cristianesimo è compatibile con la democrazia? E il buddismo? Bene, che la vostra risposta sia sì o no, avreste comunque torto!
Se infatti il cristianesimo predicato dai sacerdoti della teologia della liberazione, nell’America Latina degli anni Settanta – quel cristianesimo che non condannava al fuoco eterno le donne del sottoproletariato che avevano fatto ricorso alla contraccezione o addirittura all’aborto – sembra perfettamente compatibile con la democrazia, non altrettanto si potrebbe dire del cristianesimo dell’Inquisizione, o di quello dell’Opus Dei, né di quello che, persino in Vaticano, appoggiò Hitler.
Quanto al buddismo, che gode di ottima reputazione in Occidente, esistono monaci che hanno avviato, prendendovi attivamente parte, i pogrom contro i musulmani a Myanmar e istigato la loro persecuzione nello Sri Lanka. E potremmo proseguire negli esempi con l’ebraismo, l’induismo eccetera.
Lo stesso vale per l’islam. Quello dell’Isis – e prima ancora quello dei talebani, di Al Qaida, del GIA (Gruppo islamico armato) algerino, di Al-Shabaab in Somalia, Boko Haram in Nigeria, Ansar al-Din in Mali eccetera – è sicuramente incompatibile con la democrazia, intesa come ideale di giustizia sociale.
L’islam dei teologi progressisti, pieno di compassione per l’umanità tutta, donne comprese, altrettanto sicuramente lo è. La prova migliore è che i teologi musulmani progressisti, uomini e donne, vengono ferocemente attaccati dalle forze reazionarie, e spesso pagano con la vita le loro interpretazioni umaniste: tra i più noti, ricordiamo Tahar Haddad in Tunisia, Mahmoud Mohamed Taha in Sudan, e tanti altri, assassinati come kofr, miscredenti, o messi al bando con le loro opere. Il loro destino non è in questo senso diverso dai sacerdoti e vescovi della teologia della liberazione: anche loro pagarono spesso con la vita la dedizione ai poveri, ai disprezzati, alle donne. Basti citare, tra i più noti, il prete colombiano Camilo Torres e il vescovo di San Salvador, Oscar Romero. Tanti sono stati perseguitati, come Helder Camara, arcivescovo di Olinda e Recife, e come moltissimi altri in Messico, in Ecuador, in Panama, in Brasile. E del resto, non è anche quel che è accaduto a Cristo stesso? Esistono oggi teologi musulmani progressisti, molto noti in Algeria, Francia, Tunisia, Egitto, Indonesia, India, Sudafrica, Usa, Marocco, Malesia, Sudan: tra loro ci sono anche alcune donne (da non confondere assolutamente con il “femminismo islamico” che è invece soltanto il ramo femminile dei movimenti dell’estrema destra integralista). Ma stranamente, non è mai la loro voce quella che sentiamo nei notiziari occidentali.
Voglio dire con questo, citando Aristotele, che “il concetto di cane non abbaia”; o per dirla con i teologi e le teologhe dell’islam progressista: “l’islam non parla”. Il Corano, come la Bibbia, contiene tutto e il suo contrario: il dio della collera e della repressione, il cui pugno di ferro si abbatte sul peccatore; ma anche il dio del perdono, dell’amore e della misericordia che accoglie e conforta chi ha sbagliato.
L’islam in quanto filosofia, ideologia, religione, è sempre necessariamente “tradotto” dai suoi fedeli. Ed è soltanto attraverso di loro che ci è possibile conoscerlo. Sebbene tra le ingiunzioni del Corano vi sia anche: “In religione, nessuna costrizione”, è evidente che l’Isis non ne tiene affatto conto. Come i cristiani integralisti non tengono alcun conto del monito: “Chi non ha peccato scagli la prima pietra”.

Religione o politica?
Il problema quindi non è sapere se l’ideologia-islam sia compatibile con la democrazia, ma sapere chi parla oggi a nome dell’islam. Ed è perfettamente evidente che oggi a farsi sentire sono le voci più reazionarie, quelle che soffocano nel sangue qualunque tentativo di resistenza o di contestazione, che provenga da musulmani, da fedeli di altre religioni, da atei o da agnostici – tutti definiti come kofr. E i media, non offrendo alcuna risonanza alle voci progressiste, ci inducono a pensare che queste ultime non esistano.
Quelle che vediamo in ascesa nel mondo intero sono le forze politiche di estrema destra, che si tratti delle destre estreme classiche, xenofobe, liberticide, pro-capitaliste e anti-femministe (Front National, Alba Dorata, Partito della Libertà, Afd, Pegida eccetera) o di nuove forme dell’estremismo di destra che sfruttano la religione per camuffare le proprie ambizioni politiche, come quelle che vediamo attualmente all’opera nei paesi cosiddetti musulmani (ma anche come la destra cristiana in Polonia, negli Stati Uniti o in Spagna, che attacca i diritti riproduttivi conquistati a prezzo di tante battaglie).
Questi “musulmani” che oggi alzano tanto la voce – e fanno tante vittime – altro non sono che un’organizzazione fascista internazionale. D’altronde con le ideologie di nazismo e fascismo hanno molti punti in comune. Come i nazisti, sono convinti della loro superiorità: non è la razza ariana a garantirla, ma una fede superiore, l’ultimo dei monoteismi, l’islam. Come i fascisti, basano la loro superiorità su un passato mitizzato: anziché l’impero glorioso dell’Antica Roma, l’Età d’Oro dell’islam. Come nazisti e fascisti, si arrogano il diritto-dovere di eliminare fisicamente gli untermensch, ovvero i sub-umani: ebrei, comunisti, zingari eccetera... e kofr. Come nazisti e fascisti, vogliono che le donne stiano “al loro posto”, secondo la celebre formula nazista: “in chiesa, in cucina e accanto alla culla”. Mettiamo la moschea al posto della chiesa e non c’è altro da cambiare nel programma.
La religione a cui si richiama questa destra estrema c’entra ben poco con il suo programma politico, in cui la maggioranza dei credenti islamici non si riconosce per nulla: e infatti ne sono le prime vittime, cerchiamo di non dimenticarlo. Non è il ritorno della religione a mettere a repentaglio le democrazie: è il ritorno dei fascismi, anche in questa forma moderna che è l’integralismo religioso con ambizioni politiche, legislative e di governo.

Presunti musulmani
Una serissima indagine sociologica condotta in Francia nel 2005 mostrava che il 25% della popolazione presunta “cristiana” non lo era affatto, e si dichiarava atea, così come il 25% della popolazione presunta “musulmana”; la perfetta parità tra i due gruppi è estremamente interessante. Lo studio lo confermava più avanti: soltanto il 5% delle due popolazioni era praticante, mentre il resto – la maggioranza – si lasciava tranquillamente portare dal flusso culturale, più che da quello religioso, accontentandosi di festeggiare il Natale e la Pasqua, l’Eid e il Ramadan, eccetera.
Ora, gli europei “battezzano”, per così dire (!), come musulmani tutti quelli la cui famiglia un giorno è emigrata da qualche paese definito musulmano, qualunque sia il loro livello – se non l’assenza – di fede personale. Questo fa il gioco dell’estrema destra religiosa musulmana, la quale a sua volta non riconosce il diritto di abbandonare l’islam, di essere atei o semplicemente agnostici, e che a ciascuno attribuisce, volente o nolente, un’identità religiosa. La tentazione dell’estrema destra è appunto di riprodurre quel che è accaduto per gli “ebrei”, dove una fede è diventata una “razza”. L’intento è di creare, da molte realtà frammentate, una “razza musulmana” con la complicità ideologica attiva degli europei.
Mi piacerebbe poter dire che è solo la xenofobia dell’estrema destra classica a etichettarli come “musulmani” per poterli respingere più agevolmente; ma purtroppo la sinistra non è da meno. Sembra che nessuno capisca qual è la posta in gioco nella battaglia sui concetti attualmente in atto. Bisognerebbe, per combattere gli estremismi di destra, cominciare col rifiutare di definire “musulmane” tutte quelle persone che non rivendicano alcuna religione, qualunque sia l’origine geografica o la religione praticata dalla loro famiglia. Bisognerebbe definire musulmani soltanto coloro che credono nell’islam e lo dichiarano. Ci viene imposta invece, tanto dall’estrema destra musulmana come dalla pigrizia intellettuale degli europei, un’identità transcontinentale manipolata che sta alla base dei conflitti tra le varie comunità nell’Europa di oggi.

Relativismo culturale
Avendo abusivamente etichettato come musulmana un’intera popolazione che non è in grado di opporvisi, non c’è da stupirsi se l’estrema destra musulmana si auto-elegge portavoce di questi popoli ed esige di conseguenza, per loro, misure specifiche in funzione delle loro presunte esigenze religiose.
È così che nascono le richieste per avere corsi di studi diversi (niente biologia per non rischiare che si insegni il darwinismo ai bambini “musulmani”, niente musica, niente arti plastiche, niente ginnastica per le ragazze eccetera), alimenti halal nelle mense, personale esclusivamente femminile per l’assistenza alle donne negli ospedali, orari di piscina separati per uomini e donne, segregazione di genere nelle università, legalizzazione di testamenti “musulmani” in cui l’eredità spettante di diritto alle donne è ridotta alla metà di quella dei fratelli e da cui sono esclusi i coniugi non-musulmani e i figli adottivi eccetera (questi esempi sono tratti da vicende reali accadute in Francia, in Canada, in Gran Bretagna...) e infine, leggi separate per “comunità religiose” diverse. Occorre sottolineare che queste richieste di leggi diverse vertono esclusivamente sul diritto di famiglia, a esclusivo svantaggio delle donne, su questioni che riguardano il matrimonio, il divorzio, gli alimenti, la custodia dei figli, il ripudio, la poligamia eccetera.

Democrazia e cittadinanza
C’è un filo conduttore di cui è indispensabile essere consapevoli: quello che corre tra il considerare “islam” e “musulmani” come termini intercambiabili, l’attribuire a qualcuno (o a un’intera popolazione) un’appartenenza religiosa in base alla sua origine geografica, l’accettare la creazione dal nulla di “comunità” malgrado il principio di cittadinanza che ci vuole tutti uguali, il lasciar parlare soltanto l’estrema destra a nome della suddetta comunità, e il ritrovarsi a ratificare delle leggi religiose, immutabili, mai votate ma emanate per decreto in nome di dio da un clero reazionario, autoproclamatosi leader di tali comunità in barba alla democrazia secondo cui – come indica la parola stessa – le leggi sono votate e modificate dal popolo, mediante i suoi rappresentanti eletti.
Il minimo che si possa dire, è che questa è la fine della democrazia.
In Inghilterra, pioniera del multiculturalismo, si è di fatto introdotto un sistema legale parallelo, con sentenze emanate dai tribunali religiosi musulmani; sentenze che “l’altra” giustizia, quella dello stato, si accontenta di ratificare.
È così che in nome del rispetto dell’ “Altro” si finisce per accordare diritti legali diversi a categorie diverse di cittadini – in questo caso, di cittadine – privando alcune cittadine britanniche “musulmane” di quei diritti di cui godono le cittadine, per esempio, “anglicane” o presunte tali. E che non mi si venga a parlare di libera scelta, quando su una persona isolata si esercita il rigore dei “leader autoproclamati della comunità” e si fa leva sulla paura di essere escluse dal gruppo e dalla famiglia.
Ed è la fine anche della cittadinanza.
Come si vede, il lassismo nel rispondere alla guerra ideologica dichiarata dall’estrema destra musulmana può portare molto lontano. Ed è appunto questo lassismo, e non l’islam in sé, a essere incompatibile con la democrazia.

Laicità
La laicità, intesa come separazione tra stato e “chiesa”, è una condizione necessaria, anche se non sufficiente, per la tutela dei diritti delle donne di fronte all’avanzata dell’estrema destra musulmana. Concepita durante la Rivoluzione francese e consolidata, in Francia, dalle leggi del biennio 1905-06, tale separazione riconosce il diritto delle persone ad avere una fede religiosa e a praticare un culto; ma a prescindere da questo diritto individuale, la repubblica laica non riconosce le istituzioni che hanno la pretesa di rappresentare i credenti, non “dialoga” con esse e pertanto ignora anche i leader delle loro “comunità”; lo stato riconosce soltanto i cittadini, tutti uguali, che si possono esprimere mediante il voto.
Storicamente questa laicità è stata istituita in Francia prima per limitare e poi per eliminare il potere politico della chiesa cattolica e del Vaticano, con le sue ingerenze negli affari interni dello stato francese. Oggi però altre forze politiche, nel nome di un’altra religione, pretendono di dettare leggi per ispirazione divina.
Almeno in teoria la Francia dovrebbe essere meglio equipaggiata per opporre resistenza, rispetto all’Inghilterra e alla maggior parte degli altri paesi europei. In particolare la Gran Bretagna, dove il re/la regina è al tempo stesso sovrano politico e capo della chiesa anglicana, non poteva certo optare per la separazione della sfera politica da quella religiosa. Perciò ha inventato un’altra definizione di laicità: quella di identica tolleranza dello stato rispetto alle varie religioni; lo stato dunque non nega un ruolo politico alle religioni organizzate e ai loro rappresentanti. In questo modo – con la scusa dei diritti umani, della giustizia e del rispetto dell’“Altro” – si apre la porta al “comunitarismo”, ovvero alla lotta tra “comunità” per l’egemonia politica.
Purtroppo, a prevalere in seno alle istituzioni europee è la definizione anglosassone. E non c’è da stupirsi, se si pensa che la Germania, la cui influenza sulla classe dirigente europea non ha bisogno di essere dimostrata, percepisce nei Länder, da ogni cittadino e spesso suo malgrado, delle tasse religiose che vengono poi ridistribuite tra i culti riconosciuti: pratica difficilmente conciliabile con la laicità intesa come separazione.
L’estrema destra musulmana ha così gioco facile nel far avanzare le proprie pedine e reclamare gli stessi diritti e privilegi accordati ad altri culti. Sotto la pressione europea, la Francia si avvia lentamente ad abbandonare la laicità come separazione tra sfera politica e religiosa, per adottare l’ugual tolleranza da parte dello stato di fronte alle diverse religioni.
Da questo fondamentale cambiamento le donne hanno tutto da perdere.

I diritti delle donne
Come abbiamo visto, le donne sono l’obiettivo principale delle pretese comunitariste, che si tratti dei loro diritti legali o della posizione all’interno della famiglia, della libertà di movimento o dell’abbigliamento consentito, del comportamento nella vita pubblica, del diritto al lavoro eccetera. Tutti questi diritti possono essere gravemente limitati nel nome del rispetto dell’identità religiosa e culturale. Tocca infatti alle donne portare il peso della “cultura” della comunità, così come quello dell’ortodossia e della religione; come la religione, anche la cultura è concepita come monolitica e interpretata da leader retrogradi che si autoproclamano tali. Davanti a questi ultimi, la politica della pari tolleranza stende il tappeto rosso, senza alcun freno democratico, riconoscendoli come interlocutori validi pur non essendo eletti. Si torna così, anziché alla democrazia, a quella oligarchia del clero che lentamente ma inesorabilmente fa avanzare le proprie pedine verso l’istituzione di una teocrazia.
Attaccare prima di tutto i diritti delle donne significa aggredire gli stati nel loro punto debole: sono tutti disposti a sorvolare sui diritti delle donne, pur di mantenere la pace sociale nella speranza, del tutto infondata, che la destra estrema musulmana si accontenti di quello.
In questa situazione, fuori dalla laicità (come separazione) non c’è salvezza! È questa l’unica protezione efficace di cui si possono avvalere le donne per tutelare i loro diritti acquisiti di cittadine. Di fatto, soltanto la laicità erige una barriera tra lo stato e la volontà politica delle “comunità” che tentano di imporre la loro legge nel nome di dio, perché la laicità non riconosce alcun intermediario tra la repubblica e i cittadini e le cittadine, e non prende in considerazione altro mezzo che il voto per modificare le leggi.

Condizione necessaria, ma non sufficiente
Né la laicità né la democrazia bastano a sbarrare la strada all’estrema destra musulmana (e agli altri estremismi) e a garantire i diritti delle donne. Come sappiamo, i rivoluzionari laici della Rivoluzione francese non avevano inserito nel loro programma i diritti delle donne, e Olympe de Gouges ha pagato con la vita le proprie rivendicazioni. La democrazia – intesa non come giustizia sociale ma come semplice conteggio della maggioranza dei voti – ha portato all’elezione di Hitler. Occorre quindi vigilare sull’una e sull’altra. Tuttavia, entrambe sono condizioni assolutamente necessarie per i diritti delle donne, per quanto non siano sufficienti.
Noi femministe dobbiamo dunque investire moltissimo nella lotta per quella laicità oggi tanto minacciata: da una parte, mettendo in fuga le forze dell’estrema destra che, cooptando la nostra lotta, cercano di strumentalizzare tale concetto a loro vantaggio; dall’altra, attivando una decisa opposizione anche contro le forze cosiddette “di sinistra” (una sinistra in realtà alienata) che vogliono ridurre la laicità stessa a un attacco contro “i musulmani”: di laici è pieno anche il mondo cosiddetto musulmano, e non solo ai nostri giorni ma lungo tutto il corso della storia; laici che hanno pagato e tuttora pagano con la libertà e con la vita la loro ferma convinzione di poter accedere ai diritti universali e la pretesa di non essere relegati nei particolarismi. Non permettiamo alle forze reazionarie di “confinarci” nelle identità, culturali o religiose o di qualsiasi genere, che pretendono di fossilizzarci in un dato momento storico. Le culture, le tradizioni e le religioni non sono a-storiche, sono in continuo divenire.